MITOLOGIA GRECA E ROMANA


Mitologia, lettera A

Acheo, Achille, Acrisio.

Acheo: figlio di Suto e fratello di Ione. Con l'aiuto di Atena e della città achea di Egialo, nel Peloponneso, riconquistò il regno di suo padre, in Tessaglia, dove regnava Ione. Acheo diede il nome agli Achei, popolo del sud della Tessaglia. Questa denominazione fu anche utilizzata da Omero e dagli antichi Greci per designare tutti i popoli di lingua greca che combatterono contro Troia.

Achille: figlio di Peleo, re tessalo, e della nereide Tetide, ebbe origine doppiamente divina, poiché Peleo era figlio di Eaco, figlio a sua volta di Giove, e Tetide era figlia del dio marino Nereo.
La madre, per rendere il figlio immortale, lo ungeva d'ambrosia durante il giorno e lo ricopriva di braci durante la notte, ma disturbata in questa operazione da Peleo, fuggì portando con sé il bambino. Lo immerse poi nelle acque dello Stige, che gli indurirono talmente la pelle da renderlo invulnerabile fuorché nel tallone, per il quale la madre lo teneva durante l'immersione. Per l'educazione fu affidato alle cure del centauro Chirone e a Fenice, figlio di Amintore, re dei Dolopi. Alla scuola di così valenti maestri crebbe forte e vigoroso d'animo e di corpo e compì memorabili gesta fin da ragazzo, esercitandosi soprattutto nella caccia contro le fiere. Su lui, però, gravava un singolare destino, che gli lasciava la scelta fra una vita lunga ma oscura e una vita breve ma gloriosa; ed egli scelse senza esitazione la seconda alternativa. Quando, nell'imminenza della guerra di Troia, l'indovino Calcante vaticinò che, se egli avesse partecipato alla spedizione, sarebbe morto, Tetide, cercando vanamente di sottrarlo al suo destino, lo trafugò alla corte di Licomede, re di Sciro, dov'egli, con abiti femminili, trascorreva la vita nell'ozio insieme con le figlie del re, di una delle quali, Deidamia, si innamorò, avendone poi il figlio Neottolemo (chiamato anche Pirro). Ma avendo lo stesso Calcante profetato che Troia non si sarebbe potuta espugnare senza il concorso di Achille, Ulisse si assunse il compito di scovare il giovane valoroso e indurlo alla guerra e si recò, travestito da mercante, alla corte di Licomede, portando con sé molti gioielli, fra i quali aveva astutamente nascosto anche delle armi. Accadde così che mentre le figlie del re guardavano ammirate i gioielli, Achille impugnasse subito le armi. Riconosciuto si lasciò persuadere a seguire Ulisse e a partire con gli altri eroi greci alla volta di Troia. Nella lunga guerra compì imprese memorande per audacia e coraggio, rivelandosi sempre come il più forte dei Greci. Al decimo anno, venuto a contesa con Agamennone, capo della spedizione, questi gli fece sottrarre Briseide, la sua schiava preferita. Adirato per l'affronto subito, si ritirò sotto la tenda, rifiutandosi ostinatamente di combattere e non lasciandosi commuovere dai rivesci toccati ai Greci durante la sua assenza dal campo di battaglia. Dallo sdegnoso isolamento uscì solo per vendicare Patroclo, l'amico prediletto, che, vestito delle sue armi, aveva osato affrontare Ettore ed era stato da lui ucciso e spogliato. Ucciso a sua volta l'eroe troiano in un memorabile duello, fece strazio del cadavere, che trascinò attaccato al cocchio intorno alle mura di Troia, seminando terrore e sgomento negli atterriti nemici. Impietosito alla fine dalle lacrime del vecchio re Priamo, gli restituì il cadavere del figlio, al quale furono tributati solenni funerali.
Innamoratosi, poi, di Polissena, figlia di Priamo, la chiese in moglie, ma a Timbra, proprio nel giorno in cui avrebbero dovuto celebrarsi le nozze, Paride scagliò a tradimento contro di lui una freccia, che, guidata da Apollo, lo colpì nel tallone, l'unica sua parte vulnerabile, e l'uccise. Il suo corpo fu recuperato da Aiace, figlio di Talamone, e venne pianto per diciassette giorni. Il diciottesimo giorno fu cremato e le sue ceneri poste in un'urna d'oro fabbricata da Efesto; una tomba innalzata sulla riva del mare coprì i suoi resti, riuniti a quelli di Patroclo. L'ombra di Achille si levò dalla tomba per esigere il sacrificio di Polissena, come condizione alla partenza dei Greci. Polissena gli fu così sacrificata sulla tomba dal figlio Neottolemo per placarne l'ombra. I Greci venerarono il loro eroe come un dio e gli eressero un tempio sul promontorio Sigeo.

Acrisio: Abante, re d'Argo e nipote di Danao, aveva avuto due figli gemelli, Preto e Acrisio. Abante, morendo, lasciò in eredita il regno ai suoi due figli, raccomandando loro di regnare alternativamente. Ma i loro costanti litigi, iniziati quand'essi si trovavano ancora nel grembo materno, si inasprirono allorché Preto si giacque con la figlia di Acrisio, Danae, e riuscì a stento a salvare la vita. Poiché Acrisio rifiutò di cedergli il trono allo scadere del suo termine, Preto si rifugiò alla corte di Iobate, re di Licia, e ne sposò la figlia Antea, che i Tragici chiamano Stenebea. Poi ritornò in Argolide alla testa di un esercito licio per sostenere il suo diritto alla successione. Ne seguì una sanguinosa battaglia, ma, poiché né l'una né l'altra parte riuscì a prevalere, i due fratelli decisero di concludere un patto, Acrisio avrebbe regnato ad Argo, e Preto a Tirinto. Così il regno d'Argolide era diviso in due parti uguali.
Acrisio, che aveva sposato Euridice, figlia di Lacedemone, non ebbe figli maschi, ma soltanto quella Danae che fu sedotta da Preto; e quando chiese all'oracolo come avrebbe potuto procurarsi un erede si sentì rispondere: "Tu non avrai figli e tuo nipote ti ucciderà". Per impedire che ciò si avverasse, Acrisio chiuse Danae in una torre dalle porte di bronzo, custodita da cani ferocissimi; ma nonostante queste precauzioni, Zeus scese su Danae com una pioggia d'oro ed essa gli generò un figlio chiamato Perseo. Quando Acrisio venne a sapere che Danae era stata sedotta, non volle credere all'origine divina di questa seduzione e sospettò suo fratello Preto di essersi giaciuto ancora con Danae; non ebbe tuttavia il coraggio di uccidere la propria figlia e la richiuse col neonato in un'arca di legno, che abbandonò in mare. Codesta arca fu spinta dalle onde presso l'isola di Serifo, dove un pescatore chiamato Ditti la ripescò, la portò a riva, l'aprì e vi trovò Danae e Perseo ancora in vita. Subito li portò a suo fratello, re Polidette, che allevò Perseo nella propria casa.
Trascorsero gli anni e Perseo, raggiunta l'età virile, compì più tardi molte imprese; ma un giorno, ebbe voglia di rivedere il nonno Acrisio e tornò perciò ad Argo, con sua madre e sua moglie, Andromeda. Acrisio, apprendendo che Perseo si apprestava a venire a trovarlo, ebbe paura che la profezia s'avverasse, e partì per Larissa, nel paese dei Pelasgi (in Tessaglia), all'altra estremità della Grecia. Qui, il re Teutamide dava giochi in onore del suo defunto genitore, e Perseo vi giunse come competitore. Al momento di lanciare il disco, s'innalzo un vento violento, e il disco lanciato da Perseo, deviato dal vento e dalla volontà degli dèi, colpì Acrisio alla testa e lo uccise. Profondamente addolorato, Perseo, accorgendosi che la predizione era compiuta, seppellì suo nonno nel tempio di Atena che sovrasta l'Acropoli locale e poi ritornò verso Argo.