MITOLOGIA GRECA E ROMANA


Mitologia, lettera A

Aletto, Alettrione, Alfeo, Alia, Aloadi.

Aletto: una delle tre Erinni e il suo nome significa "persecutrice infaticabile". Secondo Esiodo, Crono colse nel sonno Urano e spietatamente lo castrò col falcetto, afferrandogli i genitali con la sinistra (che da quel giorno fu sempre la mano del malaugurio) e gettandoli poi assieme al falcetto in mare presso Capo Drepano. Gocce di sangue sgorgate dalla ferita caddero sulla Madre Terra, ed essa generò le tre Erinni, furie che puniscono i crimini di parricidio e di spergiuro; esse sono chiamate Aletto, Tisifone e Megera.
Secondo un'altra versione le Erinni nacquero dalla Notte, e Aletto era la più spaventova perché non dava tregua alle sue vittime.

Alettrione: giovane favorito da Ares e suo ruffiano nelle avventure erotiche, fu un giorno incaricato di vigilare mentre il dio era appartato, nel suo palazzo in Tracia, con Afrodite. Gli amanti indugiarono a letto troppo a lungo, e il giovane si addormentò. Elio (il sole), che stava spiando nascosto da una nube, sorgendo nel cielo, li scoprì intenti ai loro piaceri, e andò a raccontare tutto a Efesto, il marito di Afrodite, che sorprese in flagrante i due amanti. Ares infuriato per la negligenza del giovane Alettrione lo mutò in gallo, mentre Efesto decise di tendere una trappola alla moglie infedele.

Alfeo: figlio di Oceano e di Teti e dio del fiume dell'Ellade che scorre oltre il monte Olimpo. Alfeo si innamorò della ninfa Aretusa che si bagnava nelle sue acque. Prese l'aspetto di un cacciatore e la inseguì. Aretusa fuggì attraverso il mare fino in Sicilia e si rifugiò nell'isola di Ortigia vicino a Siracusa. In seguito, Aretusa si trasformò in una sorgente; ma Alfeo non ne fu per niente scosso: le sue acque presero a scorrere sotto il mare, fino in Sicilia, emersero a Ortigia e si mescolarono a quelle di Aretusa.
Secondo un'altra leggenda, Alfeo osò innamorarsi di Artemide e inseguirla attraverso la Grecia; ma essa giunse a Letrini in Elide (o, secondo altri, all'isola di Ortigia presso Siracusa), dove impiastricciò di bianco fango il proprio volto e quello delle ninfe, tanto che non fosse più possibile distinguere l'una dalle altre. Alfeo fu costretto a ritirarsi, inseguito dall'eco di risate di scherno.
Il mito di Alfeo che insegue Artemide pare modellato su un mito analogo, quello di Alfeo che insegue invano Aretusa, finché costei si trasforma in fonte e Alfeo in fiume (Pausania, V, 7, 2) e può darsi sia stato suggerito per spiegare il gesso, o creta bianca, con cui a Letrini e a Ortigia le sacerdotesse di Artemide Alfea si impiastricciavano la faccia in onore della loro Dea Bianca.

Alia: La Ninfa Alia è una Telchina che unita a Poseidone generò sei figli e la figlia Roda, la quale diede il suo nome all'isola di Rodi. I sei figli di Poseidone insultarono Afrodite che passava dall'isola mentre si recava da Citera a Pafo, e la dea li punì facendoli impazzire; essi tentarono di violentare la propria madre e commisero altri misfatti tanto orrendi che Poseidone, con un colpo di tridente, li sprofondò sottoterra e divennero i demoni orientali. Alia, disperata, si gettò in mare. Gli abitanti di Rodi le tributarono un culto come a una divinità marina, sotto il nome di Leucotea ("dea bianca").

Aloadi: erano così chiamati Efialte e Oto, figli bastardi di Ifimedia e di Posidone, perché Ifimedia sposò in seguito Aloeo, che era stato fatto re di Asopia in Beozia da suo padre Elio.
Ifimedia, innamoratasi di Poseidone, soleva sdraiarsi sulla riva del mare, raccogliendo l'acqua delle onde nel concavo delle mani e versandosela in grembo; rimase così incinta. Gli Aloadi crebbero di un cubito in larghezza e di uno stadio in altezza ogni anno e quando ebbero raggiunto i nove anni, ed erano larghi nove cubiti (ossia circa quettro metri) e alti nove stadi (circa diciassette metri), dichiararono guerra all'Olimpo. Efialte giurò sul fiume Stige che avrebbe violato Era, e Oto giurò parimenti che avrebbe violato Artemide.
Stabilito che Ares, il dio della guerra, doveva essere catturato per primo, i due fratelli si recarono in Tracia, lo disarmarono, lo legarono e lo chiusero in una giara di bronzo che nascosero nella casa della loro matrigna Eribea, poiché Ifimedia era ormai morta. Poi iniziarono l'assedio all'Olimpo, accatastando il monte Pelio sul monte Ossa, e minacciarono di gettare le montagne in mare fino a prosciugarlo: la loro tracotanza non aveva limiti, poiché era stato profetizzato che non sarebbero stati uccisi né da uomini né da dèi.
Per consiglio di Apollo, Artemide mandò agli Aloadi un messaggio: se avessero tolto l'assedio, essa si sarebbe recata all'isola di Nasso, pronta a cedere all'amplesso di Oto. Oto era esultante, ma Efialte, che non aveva ricevuto un analogo messaggio da Era, si sentì rodere dalla gelosia. Una feroce disputa scoppiò tra i due fratelli a Nasso. Efialte insisteva che non si potevano accettare i patti a meno che egli, come fratello maggiore, non godesse per primo di Artemide. La discussione era giunta all'apice quando Artemide stessa apparve sotto forma di cerbiatta bianca, e ciascuno degli Aloadi, agguantato un giavellotto, si preparò a colpirla per dar prova della propria abilità. Mentre la dea saettava velocissima tra loro, scagliarono l'arma e si ferirono a vicenda mortalmente. Così perirono, e si avverò la profezia che essi non sarebbero stati uccisi né da uomini né da dèi. I loro corpi furono seppelliti ad Antedone, in Beozia, ma gli abitanti di Nasso li onorano ancora come eroi. Sono ricordati inoltre come fondatori di città: Aloio in Tracia, Ascra in Beozia.
Liberato dunque l'Olimpo dall'assedio, Ermete andò in cerca di Ares e costrinse Eribea a farlo uscire, dopo tredici mesi e mezzo morto, dalla giara. Ma le anime degli Aloadi discesero al Tartaro dove furono legate a una colonna con corde di vipere vive. Colà siedono schiena contro schiena e la Ninfa Stige se ne sta appollaiata ghignando sulla cima della colonna, a ricordo dei loro giuramenti non mantenuti.