MITOLOGIA GRECA E ROMANA
Mitologia, lettera A
Anfiloco, Anfione, Anfitrione.
Anfiloco: Le diverse tradizioni non riescono a ben distinguere due personaggi chiamati Anfiloco. Uno è figlio minore d'Anfiarao e di Erifile, e fratello di Alcmeone. Era giovanissimo quando suo padre, a malincuore, si unì alla spedizione dei Sette contro Tebe, anche perché stimolato dalla vanità della moglie Erifile. Egli ebbe solo una parte secondaria nella vendetta per la morte del padre, e forse non partecipò all'uccisione della madre, che fu opera di Alcmeone. Così non fu, come il fratello, perseguitato dalle Erinni. Dopo il suo ritorno dalla guerra vittoriosa degli Epigoni contro Tebe, partecipò alla spedizione contro Troia, ma il suo nome non è citato nell'Iliade e figura nei poemi dei Ritorni. A Colofone (antica città della Ionia) Anfiloco, che condivideva i doni profetici del padre, assistette l'indovino Calcante che morì di crepacuore, come era stato profetizzato, incontrando un veggente più saggio di lui: niente di meno che Mopso, figlio di Apollo e di Manto, figlia di Tiresia.
Il secondo Anfiloco, nipote del precedente, figlio di Alcmeone e di Manto, aveva fondato Argo, in Etolia (diversa dall'Argo dell'Argolide, molto più celebre e antica). Anch'egli andò a Troia, e con l'indovino Mapso aveva dondato la città di Mallo in Cilicia. Poi, in seguito ad una disputa con Mapso, si ritirò nella sua città natale, lasciando la città nelle mani del cofondatore. Anfiloco, malcontento del suo soggiorno in Argo, ritornò a Mallo dopo dodici mesi, certo di poter riassumere i poteri, ma Mopso gli intimò bruscamente di andarsene. Quando i Malli, imbarazzati e sgomenti, proposero di risolvere la vertenza con un duello, i rivali si affrontarono selvaggiamente e morirono entrambi per le ferite riportate. I roghi funebri furono disposti in modo che Mopso e Anfiloco non potessero scambiarsi disdicevoli insulti durante la cremazione, ma in modo inspiegabile le loro ombre si legarono di profonda amicizia e istituirono un oracolo in comune; tale oracolo ha ora fama di essere più veridico di quello di Delfi. Tutte le domande vemgono scritte su tavolette di cera e le risposte giungono in sogno per il prezzo davvero bassissimo di due monetine di rame l'una.
Anfione: figlio di Zeus e di Antiope, e fratello gemello di Zeto. Alla nascita, i gemelli furono subito esposti sul monte Citerone dal prozio Lico, e la loro madre fu gettata in prigione. I due bambini furono raccolti da un pastore che li allevò. Antiope subì per molti anni ogni sorta di maltrattamenti da parte della zia Dirce. Ma, una notte, i lacci che la tenevano prigioniera caddero miracolosamente, ed ella riuscì a fuggire e riparò nella capanna dove vivevano Anfione e Zeto. Essi però la scambiarono per una schiava fuggiasca e rifiutarono di darle asilo. Dirce allora si precipitò su di lei e la trascinò via. "Ragazzi miei", disse il mandriano, "guardatevi dalle Moire!" "Perché mai?" essi chiesero. "Perché avete rifiutato asilo a vostra madre, che è ora nelle mani della sua perfida zia". I gemelli si lanciarono subito all'inseguimento, salvarono Antiope, uccisero Lico e legarono Dirce per i capelli alle corna di un toro, che la trascinò e la straziò sulle rocce. Gettarono poi il suo cadavere nel crepaccio di una sorgente che da lei prese il nome di Dircea.
Anfione e Zeto si recarono a Tebe, dove espulsero re Laio e costruirono la città bassa, poiché Cadmo aveva già edificato la città alta. Ora, Zeto aveva spesso rimproverato ad Anfione la sua passione per la lira. "La musica ti distrae", gli diceva , "e ti impedisce di dedicare il tuo tempo a cose utili". Tuttavia quando essi divennero muratori, le pietre si mossero obbedendo al suono della lira di Anfione e si ammucchiarono docilmente l'una sull'altra, mentre Zeto era costretto a usare i propri muscoli e lavorava più lentamente del fratello. Anfione simboleggia il potere dell'intelligenza umana, contrapposto a Zeto che simboleggia la forza fisica.
I gemelli governarono assieme su Tebe, dove Zeto sposò Tebe che diede il suo nome alla città, prima chiamata Cadmea; Anfione sposò Niobe, figlia di Tantalo. Niobe s'era vantata d'aver avuto dodici figli, mentre Latona ne aveva avuti solo due: Apollo e Artemide. Per punirla di quest'insulto, Apollo uccise i suoi figli e Artemide le figlie. Niobe ritonò allora in Libia, dove gli dei la trasformarono in una statua di pietra. Anfione, impazzito per la morte di tutti i suoi figli, profanò il tempio di Apollo e il dio lo trafisse con una freccia. Anche Zeto morì, sopraffatto dal dolore per la morte prematura dell'unico figlio; secondo alcuni l'avrebbe ucciso per errore la moglie Tebe.
Nell'Odissea, la leggenda è narrata in modo differente: Anfione era figlio di Iaso e re di Orcomeno in Beozia. Una delle sue figlie sopravvisse alle frecce di Artemide e sposò Neleo di Pilo. Zeto sposò Edone, figlia di Andareo, che fu trasformata in un usignolo dopo che, per errore, aveva ucciso suo figlio Itilo.
Anfitrione: figlio di Alceo, re di Tirinto, e nipote di Perseo. Sua madre era una figlia di Pelope, Astidamia. Anfitrione prese parte alla guerra fra suo zio Elettrione, re di Micene, e un certo Pterelao, pretendente al trono di Micene in quanto discendente di Mestore, uno dei fratelli di Elettrione. I figli di Pterelao, alla testa d'un esercito dei Tafi (gli abitanti dell'isola di Tafo), giunsero a devastare il paese di Micene e a rapire le mandrie di Elettrione. Nello scontro che seguì perirono tutti i figli di Elettrione e tutti quelli di Pterelao, fuorché uno delle rispettive famiglie, Licinnio della prima, Evere della seconda. I Tafi riuscirono a scappare, portando con sé le mandrie che affidarono al re dell'Elide Polisseno. Per vendicare la morte dei suoi figli, Elettrione decise d'intraprendere una campagna contro Pterelao e il suo popolo, i Teleboi. Durante la sua assenza, Anfitrione assunse la reggenza di Micene. "Governa con saggezza e, quando tornerò vittorioso, potrai sposare mia figlia Alcmena", disse Elettrione salutandolo. Ma Elettrione non partì in guerra, come voleva. Anfitrione, informato dal re dell'Elide che la mandria rubata era in suo possesso, pagò il forte riscatto richiesto e poi mandò a chiamare Elettrione perché identificasse il bestiame. Elettrione, per nulla soddisfatto di dover rifondere ad Anfitrione la somma del riscatto, gli chiese bruscamente quale diritto avesse gli Elei di vendere il bestiame rubato, e perché mai Anfitrione aveva ammesso tale frode. Senza degnarsi di rispondere, Anfitrione diede sfogo alla propria ira scagliando un bastone contro una delle vacche che si erano scostate dalla mandria; il bastone le battè contro le corna, e rimbalzando uccise Elettrione. Anfitrione allora fu bandito dall'Argolide da suo zio Stenelo, che si impafronì di Micene e di Tirinto e affidò il resto del regno, con Midea come capitale, ad Atreo e a Tieste, suoi cognati e figli di Pelope.
Anfitrione, accompagnato da Alcmena e Licinnio, fuggì a Tebe, dove re Creonte lo purificò e diede sua sorella Perimeda in sposa all'unico figlio superstite di Elettrione, Licinnio. Ma la pia Alcmena non volle giacersi con Anfitrione finché egli non avesse vendicato la morte degli otto fratelli di lei. Creonte gli concesse di reclutare un esercito di Beoti, a patto che egli liberasse i Tebani dalla volpe Teumessia che devastava i campi nella Cadmea e divorava tutti i mesi un giovinetto. Anfitrione vi riuscì, chiedendo a prestito il famoso cane Lelapo a Cefalo l'Ateniese. Poi aiutato da contingenti ateniesi, focesi, argivi e locresi, saccheggiò l'isola di Tafo. Ma per un incantesimo, finché fosse vissuto Pterelao, la città di Tafo era imprendibile, e la vita di Pterelao era legata, per volere di suo nonno Poseidone, a una ciocca aurea di capelli. Cometo, la figlia di Pterelao, s'innamorò di Anfitrione e, per meritarsi il suo affetto, strappò la ciocca fatale dalla testa del padre. cosicché questi morì, e Anfitrione potè impadronirsi di tutto il territorio dei Teleboi e consegnò le loro isole ai suoi alleati, tra i quali era anche lo zio di Anfitrione, Eleo. Poi, decretò che Cometo fosse giustiziata per patricidio e tornò a Tebe carico di bottino.
Frattando Zeus, approfittando dell'assenza di Anfitrione, ne assunse l'aspetto e si presentò ad Alcmena, le assicurò che i suoi fratelli erano ormai vendicati (infatti Anfitrione aveva ottenuto la sospirata vittoria quel mattino stesso) e giacque con lei per una notte che egli fece durare quanto tre. Alcmena, tratta in inganno, ascoltò con gioia quanto Zeus le raccontava sulla clamorosa sconfitta inflitta a Pterelao e godette delle gioie coniugali col suo supposto marito. Il giorno seguente, quando Anfitrione ritornò, esaltato dalla vittoria e dalla passione per Alcmena, non fu accolto nel letto coniugale col trasporto che si aspettava. "Non abbiamo dormito affatto la scorsa notte", si lagnò Alcmena, "e spero che tu non voglia raccontarmi daccapo la storia delle tue gloriose imprese". Anfitrione, che non riusciva a capire il significato di quella frase, consultò il veggente Tiresia e seppe di essere stato cornificato da Zeus.
Nove mesi dopo, sull'Olimpo, Zeus si vantò di aver procreato un figlio, ora sul punto di nascere, che sarebbe stato chiamato Eracle, cioè "gioia di Era" e avrebbe governato sulla nobile casa di Perseo. Con Eracle venne alla luce un gemello, che fu chiamato Ificle, figlio di Anfitrione. Quando Eracle aveva otto o dieci mesi, Alcmena, dopo aver lavato e allattato i gemelli, li coricò in una culla di bronzo che Anfitrione aveva riportato come bottino dalla sua vittoria su Pterelao. A mezzanotte Era mandò due prodigiosi serpenti nella casa di Anfitrione, col severo ordine di uccidere Eracle. I gemelli si destarono e videro i serpenti inarcarsi dinanzi a loro, dardeggiando le lingue biforcute. Ificle strillò, gettò via le coperte e nel tentativo di fuggire cadde dalla culla. Anfitrione balzò dal letto, afferrò la spada e, gridando agli schiavi addormentati di portare le torce, varcò la soglia: Eracle, che non aveva lanciato nemmeno un gemito, tutto fiero gli mostrò i serpenti che egli stava strangolando. Così si rivelò l'origine divina di Eracle e quella umana di Ificle. Ma un'altra tradizione dice che i serpenti erano innocui, e posti sulla culla da Anfitrione stesso che voleva sapere quale dei due gemelli fosse suo figlio, e lo seppe.
Anfitrione partecipò attivamente all'educazione di Eracle e, quando questi crebbe, gli insegnò a guidare il cocchio e a girare attorno alla mèta senza sfiorarla. Anfitrione morì combattendo a fianco d'Eracle, nella lotta che gli abitanti di Tebe sostennero contro i Mini di Orcomeno, una città presso Tebe.