MITOLOGIA GRECA E ROMANA
Mitologia, lettera C
Cefalo.
CEFALO: figlio di Diomeda e di Deione re della Focide o di Ermete e di Erse, aveva sposato Procri figlia di Eretteo.
La vicenda dell'amore romantico di Cefalo e Procri narrata da Ovidio nelle Metamorfosi è forse una versione composita di due antiche leggende che riguardano un Cefalo di Atene e un altro di Foci.
Quando Cefalo sposò Procri, i due si promisero eterna fedeltà. Cefalo, che era un abile cacciatore, abitualmente lasciava il talamo presto la mattina per recarsi alla caccia del cervo sul monte Imeto; il suo bell'aspetto attrasse l'attenzione di Eos, la dea dell'aurora, la quale s'innamorò di lui e lo rapì.
Quand'egli rifiutò cortesemente le sue proposte, dicendo che non poteva tradire Procri con la quale aveva scambiato promessa di eterna fedeltà, Eos replicò che Procri sarebbe stata pronta a rompere il giuramento per avidità di denaro. Alle proteste indignate di Cefalo, Eos lo trasformò in modo che assomigliasse a un certo Pteleone e gli consigliò di attirare Procri nel proprio letto offrendole una corona d'oro. Cefalo obbedì e, visto che Procri si lasciava sedurre facilmente, non ebbe scrupoli a giacersi con Eos.
Eos generò a Cefalo un figlio chiamato Fetonte; ma Afrodite lo rapì quando era ancora fanciullo, affinché custodisse i suoi templi più sacri. E i Cretesi lo chiamano Adimno, parola che per loro significa stella del mattino e delle sera.
Frattanto Procri fu costretta a lasciare Atene per via dei pettegolezzi che si facevano sul suo conto, e si recò dunque a Creta, dove Minosse riuscì a sedurla facilmente come già l'aveva sedotta il finto Pteleone. Egli se la ingraziò con il dono di un cane da caccia che non mancava mai la preda e con una freccia che non mancava mai il bersaglio: aveva ottenuto l'una e l'altro da Artemide. Procri, che era un'appassionata cacciatrice, accettò volentieri i doni, ma volle che Minosse bevesse un farmaco profilattico (un decotto di magiche radici, opera della maga Circe) per evitare che egli le riempisse il ventre di rettili e insetti. Questo farmaco ebbe l'effetto desiderato, ma Procri temeva che Pasifae trovasse egualmente il modo di colpirla con un maleficio e ritornò dunque in gran fretta ad Atene, travestita da ragazzo e assumendo il nome di Pterela.
Cefalo, cui Procri si unì per partecipare a una battuta di caccia, non la riconobbe sotto il travestimento, e si offrì di comprarle, per una enorme quantità d'argento, il cane da caccia Lelapo e l'infallibile dardo. Ma Procri rifiutò di cederli se non per amore e, quando Cefalo acconsentì a giacere con lei, piangendo essa gli rivelò la sua vera identità. Così si riconciliarono e Cefalo potè divertirsi a cacciare con il cane e con il dardo. Ma Artemide si irritò vedendo che i suoi preziosi doni passavano così facilmente di mano in mano e meditò di vendicarsi. Insinuò dunque nella mente di Procri il sospetto che Cefalo si recasse ancora da Eos quando sorgeva all'alba per recarsi a caccia. Procri venne insospettita anche da alcuni pettegolezzi, secondo cui il suo sposo era stato sentito chiamare con voce colma di tenerezza una certa "aura" perché lo raggiungesse e gli alleviasse la fatica della caccia. La donna concluse che doveva trattarsi d'una ninfa di cui Cefalo era innamorato, mentre in realtà la parola non significava altro che "vento": Cefalo stava semplicemente chiamando il vento perché rinfrescasse il suo corpo accaldato.
Una notte Procri, indossata una tunica di colore scuro, scivolò sulle tracce di Cefalo. Cefalo udì un fruscio tra i cespugli alle sue spalle e, allarmato dai guaiti di Lelapo, scoccò il dardo infallibile che trafisse Procri. Mentre giaceva morente tra le sue braccia, Procri lo pregò di non sposare Aura e così la verità venne a galla.
In seguito l'Areopago condannò Cefalo all'eterno esilio per omicidio. Cefalo si ritirò a Tebe dove re Anfitrione, il padre putativo di Eracle, gli chiese in prestito Lelapo per cacciare la volpe Teumessia, che faceva stragi nella Cadmea. Codesta volpe, che per volere degli dèi non sarebbe mai stata acciuffata, doveva essere placata ogni mese con il sacrificio di un bambino. Ora, poiché anche Lelapo per volere divino non poteva mancare di acciuffare la preda, si comiciò a discutere nell'Olimpo come risolvere l'intricata questione, finché Zeus, irritato, sistemò ogni cosa trasformando Lelapo e la volpe in pietre.
Cefalo prestò il suo aiuto ad Anfitrione nella guerra vittoriosa contro i Teleboi e i Tafi. Nella suddivisione delle terre dei Teleboi, a Cefalo toccò l'isola di Cefalonia, che ancor oggi porta il suo nome. Egli non perdonò mai a Minosse di aver sedotto Procri dandole il magico dardo, né poté perdonare a se stesso di essere stato causa della morte di lei. Dopo tutto, egli per primo aveva rotto il giuramento, perché gli amori di Procri con il finto Pteleone non si potevano considerare una infedeltà. Benché purificato della sua colpa, egli era perseguitato dall'ombra di Procri. Un giorno si recò al capo di Leucade, dove eresse un tempio ad Apollo dalla Roccia Bianca e si gettò in mare dall'alto della scogliera.
...Questo giavellotto, o figlio di una dea, chi lo crederebbe?, mi fa e mi farà piangere a lungo, se a lungo di vivere mi concede il destino: morte ha inflitto alla mia amata sposa e a me con lei. Oh, non mi fosse mai stato donato!... ...e per l'amore che ti porto anche ora che muoio, ed è causa della mia morte, ti scongiuro, t'imploro: non permettere ad Aura di prendere il mio posto!. Così mi disse, e solo allora compresi che si trattava di un malinteso. Glielo spiegai, ma a che serviva spiegare? Vien meno, e col sangue fuggono via le sue ultime forze. Finché poté guardare, guarda me, e nelle mie braccia, sulle mie labbra esala la sua anima infelice. Ma sembra morir tranquilla, col volto più sereno...(Ovidio, Metamorfosi VII, 670 e ss.).