MITOLOGIA GRECA E ROMANA


Mitologia, lettera E

Eros, Erse, Ersilia, Esaco.

EROS: è il dio dell'amore. La poesia omerica non conosce Eros come nume. Da Esiodo in poi invece esso è noto sotto il duplice aspetto di divinità teogonica e d'inseparabile compagno di Afrodite.
Quale potenza teogonica dell'amore che spinse all'unione vicendevole le coppie dei Numi, lo si considerava come figlio del Caos, o della scura Notte e del luminoso Giorno, o del Cielo e della Terra, o di Urano o di Crono. Qual nume dell'amore, dominatore irresistibile della Natura, degli dèi e degli uomini, era detto abitualmente figlio di Afrodite, per quanto taluni lo facessero rampollo d'Ilizia, e altri figlio di Zefiro e d'Iride, e altri nato da Zeus. Accanto a lui compaiono spesso le figure affini di Imero e Poto. È adorato insieme con Afrodite.
Durante la rivolta dei Giganti contro gli dèi, Porfirione si precipitò su Era e cercò di strangolarla; ma ferito al fegato da una freccia scoccata tempestivamente dall'arco di Eros, la sua furia omicida si trasformò in una brama lussuriosa e lacerò la veste di Era. Zeus, vedendo che il gigante stava per oltraggiare sua moglie, divenne pazzo di gelosia e abbattè Porfirione con una folgore. Sull'Olimpo, Era e Atena discutevano angosciate i mezzi da suggerire al loro protetto, Giasone, perché egli potesse impossessarsi del Vello d'Oro. Infine decisero di chiedere l'aiuto di Afrodite, e costei indusse il suo malvagio figlioletto Eros a far sì che Medea, figlia di re Eete, concepisse un'improvvisa passione per Giasone. Eros scoccò una freccia che penetrò nel cuore di Medea fino in fondo.
Famosi luoghi di culto di Eros furono soprattutto Tespie in Beozia e Pario sull'Ellesponto: in Tespie esistettero statue di Eros dovute a Prassitele e a Lisippo, in Pario fu una statua di Prassitele. A Tespie si celebravano in suo onore ogni quattro anni le Erobie con gare ginniche e musicali, che durarono anche nell'epoca romana.
In particolar modo nelle palestre fu venerato Eros, come simbolo dell'amicizia e dell'amore tra uomini e giovinetti. Accadeva pertanto di vederne spesso nelle palestre il simulacro fra quelli di Ermete e di Eracle. Gli Spartani e i Cretesi prima della battaglia sacrificavano ad Eros, e a Samo gli dedicarono un ginnasio e celebravano in onor suo le Eleuterie. Gli Ateniesi lo ricordavano accanto ai propri liberatori Armodio e Aristogitone. Dallo stesso ordine d'idee è germogliata la figura di Anteros ("l'amore rifiutato") che appare talora accanto a Eros, a significare l'affetto corrisposto tra uomini e giovani.
La poesia (come del resto l'iconografia) rappresenta abitualmente Eros come fanciullo o come delicato giovinetto: di rado occorre rappresentazione diversa, come quella di forte e vigoroso garzone che appare da un frammento di Anacreonte: per lo più è appunto il ragazzo o giovinetto birichino che tiranneggia uomini e numi, e se ne ride. Ciò anche nella poesia tragica, ma in special modo nella post-classica, specie in quella delle anacreontiche. Oggetto delle fantasie e delle ideologie dei filosofi fu pure Eros: basti ricordare il Simposio platonico. Nell'età alessandrina è famosa la creazione della coppia di Amore e Psiche, ricordata per la prima volta da Meleagro nel secolo I a.C., ma che appare sicuramente più antica. Tutti conoscono la graziosa novella composta su quella coppia da Apuleio. Nella tarda età alessandrina e nella romana le piccole Psichi alate insieme con gli alati Amorini invadono ogni scena di vita naturale, divina, umana, affaccendate quelle come questi nelle più svariate occupazioni, a indicare l'incoercibile potenza dell'amore.

ERSE: figlia di re Cecrope di Atene e di Aglauro. Le sue due sorelle sono Aglauro e Pandroso, con le quali doveva custodire la cesta in cui Atena aveva nascosto il piccolo Erittonio. Con le sorelle, fu mossa dalla curiosità di vedere che cosa mai si celasse nella cesta e aprì il coperchio, scorgendo un fanciullo con una coda di serpente in luogo delle gambe. Atena la punì facendola impazzire, ed ella terrorizzata si gettò giù dall'Acropoli insieme alle sorelle. Secondo un'altra versione l'unica colpevole sarebbe stata Aglauro, mentre Erse sarebbe sfuggita al castigo e, sedotta da Ermete, gli avrebbe generato un figlio, chiamato Cefalo.

ERSILIA: donna sabina su cui esiste una duplice leggenda, la prima delle quali la fa moglie di Romolo, al quale diede due figli: una femmina, Prima, e un maschio, Aollio, in seguito chiamato Avilio. Per prima avrebbe patrocinato, dopo la guerra seguita al ratto delle Sabine, l'alleanza tra Romani e Sabini e, morto Romolo, sarebbe stata anch'essa deificata e venerata dai Romani col nome di Hora Quirini. La seconda leggenda la considera moglie del romano Ostilio cui, prima fra tutte le rapite Sabine, avrebbe dato un figlio, Osto Ostilio che fu poi il padre di Tullio Ostilio, quarto re di Roma. Entrambe le leggende sono concordi nell'attribuirle opera di mediatrice e di pacificatrice, insieme con altre compagne sabine oratrici di pace, dei rapporti tra Romani e Sabini.

ESACO: figlio di Priamo e di Arisbe, imparò dal nonno materno, Merope, l'arte di interpretare i signi. Così, quando Ecuba, poco prima della nascita di Paride, sognò di generare un tizzone infiammato che dava fuoco a tutta la città di Troia, Priamo subito consultò il figlio Esaco che gli annunciò che il bimbo che stava per nascere sarebbe stato la rovina di Troia e gli consigliò di liberarsene appena nato. Esaco si era innamorato appassionatamante della ninfa Asterope, figlia del fiume Cebreno: quando essa morì, morsa da un serpente, Esaco cercò più volte di uccidersi gettandosi in mare da una rupe e infine gli dèi, impietositi, lo tramutarono in un uccello pescatore, cosicché egli potesse abbandonarsi alla sua mania ossessiva senza offendere il decoro.