MITOLOGIA GRECA E ROMANA
Mitologia, lettera L
Leucotea, Leucotoe, Libero, Libia, Lica.
LEUCOTOE: eroina della mitoogia greca, figlia di Eurinome e di Orcamo, re di Persia. Apollo innamorato di lei penetrò con le sembianze della madre nelle sue stanze e abbagliatala col suo divino aspetto ne ottenne le grazie. Il padre, saputo il fatto se ne adontò al punto da far morire Leucotoe seppellendola viva. Addoloratissimo Apollo, dopo aver tentato invano col suo solare calore di richiamarla in vita, cosparse di nettare il tumulo che tosto dette un germoglio d'incenso.
Dagli amori di Leucotoe e di Apollo nacque un figlio, Tersanore, che appare su certe liste di Argonauti.
LIBERO: antica divinità romana e italica, che insieme con Libera formava una coppia di antiche divinità della fecondità della natura tanto vegetale, quanto animale, e quindi anche della vita familiare. Secondo Varrone in un mese di primavera non precisato si celebrava a Lanuvio in onore di Libero una festa agraria con una processione particolare. Data la forma arcaica del culto si doveva trattare di un'antica divinità indigena, anteriore all'assimilazione di Libero con Dioniso, distaccatasi da tempo da Giove che alla fecondità presiedeva col nome di Iuppiter Libertas o Iuppiter Liber. Per alcuni invece Libero non sarebbe altro che Dioniso pervenuto a Roma nel secolo VI a.C. da Cuma della Campania. Per altri sarebbe avvenuta l'assimilazione con Dioniso al principio del secolo V a.C. In conseguenza di una carestia (496 a.C.) i Libri Sybillini interrogati avrebbero ordinato di introdurre in Roma la triade greca eleusina Demetra, Dioniso e Core, importata nella forma latina di Cerere, Libero e Libera, in quanto divinità protettrici dell'agricoltura.
In onore di Libero si fissò già nel cosiddetto feriale di Numa al 17 marzo la festa delle Liberalia. Un'altra festa era celebrata anche al tempo della vendemmia. Queste feste mantennero sempre il loro carattere originario indigeno e popolare. Altre cerimonie in onore di Libero erano celebrate in vari luoghi d'Italia, accompagnate da una esaltazione orgiastica della fecondità. Differenziato da Dioniso e considerato come padre, Libero continuò ad avere venerazione in Roma ancora nel periodo di crisi della Repubblica.
Il giorno della festa delle Liberalia i giovinetti che avevano raggiunta l'età prescritta di 15 anni lasciavano la toga pretesta per assumere la toga virile, e probabilmente in questo giorno offrivano il loro sacrificio a Libero nel tempio sul Campidoglio dove si recavano processionalmente. Nel giorno delle Liberalia vecchie donne incoronate di edera stavano per le vie della città per vendere ai passanti piccole focacce fatte di farina, miele e olio; da quelle vendute si staccava un piccolo frammento e si gettava sul focolare portatile in onore di Libero a beneficio dell'acquirente.
LIBIA: ninfa eponima dell'Africa del nord, figlia di Epafo e di Menfi. Unita a Poseidone, ebbe per figli i gemelli Agenore e Belo, e Lelee.
LICA: giovinetto compagno di Eracle, venne inviato dall'eroe a Deianira a prendere la camicia per il sacrificio a capo Ceneo, in Eubea. Deianira aveva intessuto una nuova camicia per celebrare i sacrifici e, dissuggellata in segreto l'anfora che conteneva il supposto talismano d'amore datole da Nesso per assicurarsi l'affetto del marito, bagnò una panno di lana nel miscuglio e lo strofinò sulla camicia. Quando Lica giunse a palazzo, Deianira chiuse la camicia in un cofano e glielo consegnò. Lica era già partito a tutta velocità sul suo cocchio quando Deianira, guardando il panno di lana che aveva gettato nel cortile, lo vide ardere come paglia. Resasi conto che Nesso l'aveva ingannata, mandò un messaggero a spron battuto per avvertire LIca e, maledicendo la sua follia, giurò che se Eracle fosse morto non gli sarebbe sopravvissuta. Il messaggero giunse troppo tardi al promontorio Ceneo. Eracle aveva già indossato la camicia allorché si lasciò sfuggire un grido di dolore. Il calore aveva fatto sciogliere il veleno contenuto nel sangue di Nesso che si diffuse sulle membra di Eracle corrodendogli la carne. L'eroe piombò sull'atterrito Lica, lo agguantò, lo fece girare tre volte sopra la sua testa e lo scaraventò nel mare Eubeo. Colà Lica si trasformò in una roccia di forma umana, che emerge dalle onde a breve distanza dalla riva; i marinai ancor oggi la chiamano Lica e non osano salirvi sopra, perché credono che possa sentire dolore.