MITOLOGIA GRECA E ROMANA


Mitologia, lettera M

Marmace, Marone, Marpessa, Marsia.

MARMACE: fu il primo a presentarsi come pretendente alla mano di Ippodamia, figlia del re di Pisa, in Elide, Enomao.
Un oracolo aveva predetto ad Enomao la morte per mano del genero ed egli, per allontanare i pretendenti, aveva posto la mano della figlia come premio d'una corsa col carro. Egli non aveva alcuna difficoltà a battere il concorrente, poiché possedeva cavalli divini che gli erano stati dati da Ares. Poi, una volta vinto, tagliava la testa al pretendente e la inchiodava alla porta della sua casa, per spaventare, si dice, i futuri pretendenti. Quando uccise Marmace, il primo pretendente, ne sgozzò anche le cavalle, Partenia ed Erifa, e le seppellì presso il fiume Partenio dove ancora si vede la loro tomba.

MARONE: figlio di Evante e sacerdote di Apollo a Ismaro, città dei Ciconi.
Dopo che Odisseo ebbe lasciato Ilio, approdò nella terra dei Ciconi e la saccheggiò. Odisseo considerò che essendo Marone un sacerdote di Apollo, non era conveniente attirarsi le ire del dio uccidendo un suo sacerdote, quindi impedì che i suoi uomini facessero del male a Marone e ai suoi familiari. Marone gli donò per gratitudine alcune giare del suo portentoso vino: era di una tale forza che per poterlo bere senza ubriacarsi, ogni coppa doveva essere allungata con dodici parti di acqua. Proprio con questo vino Odisseo riuscì a ubriacare il ciclope Polifemo e, infine a sfuggirgli.
Marone, tipo del perfetto ubriaco, figurava su una fontana, a Roma, nel portico di Pompeo.

MARPESSA: figlia d'Eveno e di Demonice o Alcippe, fu amata da Apollo.
Poiché Eveno desiderava che Marpessa rimanesse vergine, invitava tutti i suoi pretendenti, a turno, a misurarsi con lui in una corsa di cocchi. Il vincitore avrebbe ottenuto la mano della fanciulla, mentre il vinto ci avrebbe rimesso la testa. Ben presto tante teste furono inchiodate alle pareti della casa di Eveno. Apollo, innamoratosi di Marpessa, espresse il suo profondo disgusto per una così barbara usanza, e disse che vi avrebbe posto fine sfidando Eveno alla corsa. Ma anche Ida, figlio di Afareo (o di Poseidone), aveva riposto le sue speranze in Marpessa e chiese in prestito un cocchio alato al padre suo Poseidone. Prima che Apollo potesse intervenire, Ida si recò in Etolia e si portò via Marpessa strappandola a un gruppo di danzatrici. Allora, Eveno, saltò sul carro e lo inseguì; ma giunto al fiume Licorma si rese conto che non gli era possibile proseguire, e si sentì così umiliato che sgozzò i suoi cavalli e si gettò nel fiume, che da quel giorno, in suo onore, fu chiamato Eveno. Quando Ida giunse a Messene, Apollo cercò di portargli via Marpessa e Ida lo sfidò a duello, ma Zeus intervenne nella contesa e lasciò a Marpessa la scelta fra i due contendenti. Essa preferì Ida poiché temeva che Apollo la abbandonasse non appena avesse cominciato a invecchiare, come già aveva fatto con parecchie amanti. Marpessa diede a Ida una figlia, Cleopatra, la quale sposò Meleagro figlio di Eneo.

MARSIA: satiro frigio, figlio di Iagni e Olimpo (oppure Eagro), famoso suonatore di flauto.
Si raccontava che un giorno Atena si fabbricò un doppio flauto con ossa di cervo e lo suonò a un banchetto degli dèi. Essa non riuscì a capire, dapprima, perché mai Era e Afrodite ridessero silenziosamente nascondendosi il volto tra le mani, benché la sua musica paresse deliziare gli altri dèi. Appartatasi perciò nel bosco frigio, riprese a suonare nei pressi di un ruscello e così facendo osservò la sua immagine riflessa nello specchio delle acque. Resasi subito conto di quanto fosse orribile a vedersi, col viso paonazzo e le gote enfiate, gettò via il flauto e lanciò una maledizione contro chiunque lo avesse raccolto.
Marsia fu l'innocente vittima di quella maledizione. Egli trovò per caso il flauto e non appena se lo portò alle labbra lo strumento si mise a suonare da solo, quasi ispirato dal ricordo della musica di Atena. Marsia allora percorse la Frigia al seguito di Cibele, deliziando con le sue melodie i contadini ignoranti. Costoro infatti proclamavano che nemmeno Apollo con la sua lira avrebbe saputo fare di meglio, e Marsia fu tanto sciocco da non contraddirli. Ciò naturalmente provocò l'ira di Apollo che sfidò Marsia a una gara: il vincitore avrebbe inflitto al vinto la punizione che più gli fosse piaciuta. Marsia acconsentì e Apollo affidò il giudizio alle Muse. I due contendenti chiusero le gare alla pari, poiché le Muse si dichiararono egualmente deliziate dalle loro melodie, ma Apollo sfidò allora Marsia a fare col suo strumento ciò ch'egli avrebbe fatto col suo: capovolgerlo e suonare e cantare al tempo stesso.
Il flauto, come logico, non si prestava a una simile esibizione e Marsia non potè raccogliere la sfida. Apollo invece rovesciò la sua lira e canto inni così dolci in onore degli dèi olimpi, che le Muse non poterono fare a meno di dichiararlo vincitore. Allora Apollo si vendicò di Marsia in modo veramente crudele, scorticandolo vivo e appendendo la sua pelle a un pino (oppure a un platano, come altri sostengono) presso la sorgente del fiume che ora porta il suo nome.