Mitologia Greca e Romana

Mitologia, lettera N

Nemesi, Neottolemo.

NEMESI: dea della giustizia e della vendetta, punizione anche degli amanti crudeli. In Omero Nemesi non è ancora personificata; è nominata in Esiodo, e la Teogonia la dice figlia della Notte e flagello dei mortali; con Pindaro e coi tragici diventa apportatrice di sventura e dispensatrice di guai a coloro che conseguono troppa felicità. Ma diventa, più che una vera dea, una potenza divina astratta, tutrice dell'ordine e dell'equilibrio dell'universo, che assegna all'uomo la sua sorte, cioè la felicità o la sventura secondo la giustizia e il merito, ripristinando così l'ordine morale quando viene turbato.
Una leggenda la presenta come una vergine amata da Zeus e che fugge l'inseguimento del dio. Taluni dicono che Zeus un giorno si innamorò di Nemesi e la inseguì per terra e per mare. Benché essa mutasse continuamente forma, egli riuscì infine a violarla assumendo l'aspetto di un cigno, e dall'uovo che Nemesi depose nacque Elena di Troia. Altri narrano che quando Zeus si innamorò di Nemesi, costei si tuffò nell'acqua e divenne un pesce; Zeus la inseguì trasformandosi in castoro. Nemesi balzò allora sulla riva e continuò a trasformarsi in questo o in quell'animale selvatico, ma non riuscì a liberarsi dal dio che subito assumeva la forma di animali ancor più forti e agili. Infine essa si alzò in volo in sembianza d'oca selvatica, ma Zeus divenne cigno e, trionfante, la coprì a Ramnunte, in Attica. Nemesi scrollò rassegnata le penne e si recò a Sparta, dove Leda, moglie di Tindareo, trovò un uovo in una palude, lo portò a casa e lo ripose in un cofano: e quando l'uovo si dischiuse nacque Elena. Altri ancora dicono che Zeus, fingendo di essere un cigno inseguito da un'aquila, si rifugiò nel grembo di Nemesi e la violentò; a tempo debito Nemesi depose un uovo che Ermete mise tra le cosce di Leda, mentre sedeva su uno sgabello, a gambe larghe. Leda diede così alla luce Elena e Zeus pose nel cielo l'immagine del Cigno e dell'Aquila a ricordo della sua astuzia.
Secondo la versione più comune, tuttavia, Zeus in veste di cigno si unì a Leda stessa sulle rive del fiume Eurota; poi Leda depose un uovo dal quale nacquero Elena, Castore e Polideuce, e fu deificata in seguito col nome di dea Nemesi. Il marito di Leda, Tindareo, si giacque con lei nel corso della medesima notte, e benché taluni sostengano che tutte e tre le creature uscite dall'uovo (e anche Clitennestra, nata, come Elena, da un secondo uovo) fossero figlie di Zeus, altri dicono che soltanto Elena fosse di origine divina, mentre Castore e Polideuce erano figli di Tindareo; altri amcora, che Castore e Clitennestra erano figli di Tindareo, ed Elena e Polideuce figli di Zeus.
Centro principale del suo culto fu Ramnunte nell'Attica, dove era venerata come figlia di Oceano e come madre di Elena e di Eretteo. Nemesi porta un ramo di melo in mano e una ruota nell'altra, e in capo una corona adorna di cervi; uno scudiscio pende dalla sua cintura, e la sua bellezza e paragonabile a quella di Afrodite. Le feste Nemesie erano celebrate ogni anno ad Atene il 5 Boedromione (settembre) presso Maratona in riva al mare.

NEOTTOLEMO: figlio di Achille e di Deidamia, figlia di Licomede re di Sciro, il quale provvide all'educazione del nipote. Nell'età ellenistica ebbe dagli eruditi il nome di Pirro, dal nome di Pirra portato da Achille durante il suo soggiorno a Sciro, quando viveva nascosto tra le figlie del re Licomede, per non partecipare alla guerra di Troia. Allorché l'indovino Eleno ebbe predetto ai Greci che Troia non sarebbe stata presa in assenza di Neottolemo e Filottete, furono mandati a Sciro Odisseo, Fenice e Diomede per indurre Neottolemo a partecipare all'assedio. Fu invece difficile convincere Filottete che, sofferente per la sua vecchia ferita, giaceva sull'isola di Lemno; secondo Sofocle Odisseo cercò di ingannarlo con l'aiuto del giovane Neottolemo che aveva condotto con sé a Lemno, ma Neottolemo, troppo onesto, non volle prendere parte all'inganno. L'apparizione improvvisa di Eracle comunque salvò la situazione e Filottete accompagnò i Greci a Troia. Qui Neottolemo, ricevute in dono da Odisseo le armi di Achille, si dimostrò per valore degno figlio dell'eroico genitore, uccidendo molti Troiani tra cui Euripilo, figlio di Teleo.
Neottolemo fu uno dei guerrieri greci che entrarono in Troia rinchiusi nel famoso cavallo di legno, e, presa la città, sgozzò Priamo ai piedi dell'altare di Zeus dove si era rifugiato, dopo ave trucidato il figlio di lui Polite. Il suo spirito crudele si rivelò anche quando sacrificò Polissena sulla tomba di Achille e precipitò Astianatte, figlio di Ettore, dall'alto di una torre.
Nella spartizione delle prede ebbe in sorte Andromaca vedova di Ettore, che ritenne come concubina e dalla quale ebbe un figlio, Molosso, eroe eponimo dei Molossi. Neottolemo salpò da Troia non appena ebbe offerto sacrifici agli dèi e all'ombra del padre suo, e riuscì a sfuggire alla terribile tempesta che colpì Menelao e Idomeneo, seguendo il profetico consiglio del suo amico Eleno e facendo scalo in Molossia. Dopo aver ucciso re Fenice e maritata la propria madre a Eleno che divenne re dei Molossi, Neottolemo fondò una nuova capitale e infine raggiunse Iolco. Colà egli succedette sul trono a suo nonno Peleo, che era stato scacciato dai figli di Acasto; ma, sempre per consiglio di Eleno, non indugiò a oziare in patria. Bruciò le sue navi e marciò nell'entroterra finché raggiunse il lago Pambrotide in Epiro, presso l'oracolo di Dodona, dove fu accolto con molti onori da un gruppo di suoi lontani parenti. Mentre bivaccavano al riparo di tende sorrette da lance con la punta conficcata nel suolo, Neottolemo rammentò le parole di Eleno: "Quando ti troverari in una casa con le fondamenta di ferro, le pareti di legno e il tetto di tela, fermati, sacrifica agli dèi e fonda una città!" Così fece Neottolemo e in Epiro ebbe altri due figli da Andromaca, Pielo e Pergamo.
La sua fine tuttavia fu ingloriosa. Recatosi a Delfi, chiese soddisfazione per la morte del padre suo Achille che, a quanto si diceva, Apollo aveva ucciso con una freccia nel proprio tempio a Troia. Quando la Pizia gli rifiutò freddamente tale soddisfazione, Neottolemo furibondo diede fuoco al tempio. Poi si recò a Sparta, sempre più corrucciato, per chiedere la mano di Ermione, promessagli da Menelao a Troia, ma che il nonno Tindareo aveva invece maritata a Oreste, figlio di Agamennone. Poiché Oreste in quel periodo era inseguito dalle Erinni e colpito dalla divina maledizione, a Neottolemo pareva più che giusto che Ermione divenisse sua moglie. Nonostante le proteste di Oreste, gli Spartani accolsero la sua richiesta e il matrimonio ebbe luogo a Sparta. Ma Ermione si rivelò sterile; Neottolemo allora ritornò a Delfi e, entrato nel santuario annerito dal fumo dell'incendio, chiese di nuovo spiegazioni all'oracolo.
Gli fu ordinato di offrire vittime propiziatorie al dio e, mentre così faceva, si imbattè in Oreste ai piedi dell'altare, Oreste l'avrebbe ucciso all'istante se Apollo non fosse intervenuto, ben sapendo che Neottolemo doveva morire quel medesimo giorno, ma per mano di un'altra persona. Ora, per antica usanza, le carni delle vittime sacrificate a Delfi venivano consumate dai sacerdoti del tempio; Neottolemo, che non conosceva questo particolare, non potè tollerare di vedersi portar via di sotto gli occhi quei bei quarti di bue grasso e tentò di impedirlo con la forza. Al che Macherio, uno dei sacerdoti, uccise Neottolemo con il suo coltello sacrificale. Neottolemo fu sepolto sotto la soglia del tempio di Delfi, e gli furono tributati onori divini.