MITOLOGIA GRECA E ROMANA


Mitologia, lettera N

Nike, Ninfe.

NIKE: dea della vittoria presso i Greci. Secondo Esiodo era figlia del titano Pallante e di Stige, sorella di Zelos (Emulazione), di Cratos (Forza) e di Bia (Violenza). Nella battaglia tra gli dèi e i Titani abbandonò le schiere di suo padre. Guidò Eracle all'Olimpo. Ma la "vittoria dai dolci doni", per lo spirito greco l'aspirazione più nobile e affascinante dell'uomo, non poteva non diventare figlia di Zeus, figura parallela dell'altra sua figlia, Atena. Le si tributavano onori dopo ogni vittoria sia che fossero vittorie in guerra che in competizioni atletiche. Ad Atene fu in parte assimilata dalla dea Atena, infatti gli ateniesi adoravano una Atena Nice, questa però, non aveva le ali.
Particolare importanza ebbe il culto della Vittoria nella romanità. In origine non era che un attributo di Juppiter victor; staccatosi come divinità indipendente, il suo culto ebbe grande sviluppo nella tarda repubblica a opera di capi politici e dittatori che la assunsero come personificazione a un tempo delle loro vittorie e del favore divino: si ebbero così la Victoria Sullana, la Victoria Caesaris, e soprattutto la Victoria Augusta, componente essenziale dell'ideologia politica a base dell'impero.
Nike veniva raffigurata come giovane donna dalle grandi ali di aquila, con una corona d'ulivo sul capo e con un ramo di palma nella mano. Le sue statue più famose sono la Nike di Samotracia e la Nike di Peonio. La prima è un'insigne opera marmorea trovata nell'isola di Samotracia; era il dono votivo per la vittoria navale che Demetrio Poliorcete riportò su Tolomeo d'Egitto presso Salamina di Cipro nel 306 a. C.. La seconda, opera dello scultore Peonio, era un dono votivo dedicato dai Messeni e dai Naupazi dopo la battaglia di Sfacteria (425 a.C.).

NINFE: esseri divini di grado secondario e di sesso femminile, che rappresentavano le forze della natura e ne personificavano specialmente il carattere vitale e procreativo, animavano con la loro invisibile presenza ogni manifestazione della natura, in particolare dei monti, delle acque, dei boschi, degli alberi, e per estensione anche di luoghi, di regioni, di città. Secondo Omero erano figlie di Zeus Egioco; altre leggende le facevano figlie dei fiumi delle regioni in cui esse avevano culto. A differenza degli altri dèi però le Ninfe non godevano dell'immortalità, sebbene Esiodo attribuisca loro una estrema longevità.
Non risiedevano nell'Olimpo; ma nell'Iliade, quando Zeus convoca tutti gli dèi in assemblea solenne, sono presenti anche tutte le Ninfe. Le denominazioni delle Ninfe erano fatte secondo la loro residenza, o secondo le loro funzioni, o secondo la specifica località geografica dove risiedevano, donde la infinita varietà di Ninfe che conosciamo. Gia Omero e i poeti più antichi, secondo la loro dimora preferita le ripartivano in quattro grandi classi: 1° le ninfe delle montagne, Oreadi o Orestiadi; 2° le Ninfe dei campi; 3° le Ninfe delle acque dolci, Naiadi; 4° le Ninfe degli alberi, Driadi, Amadriadi, Meliadi. Accanto a queste ne sono ricordate molte altre; così le Ninfe del mare erano le Oceanine e le Nereidi; le Ninfe delle valli e dei boschi, Napee e Alseidi, affini alle Orestiadi; le Idee traevano il nome dal culto locale sul monte Ida di Creta; le Pleiadi dal monte Pelio.
Dalla fantasia dei Greci le Ninfe sono presentate come fanciulle libere e indipendenti. Talora appaiono anche come madri di eroi. Ma per lo più sono delle bellissime vergini.
Alle Ninfe si attribuivano svariati doni e poteri, non solo quello che esercitavano sulla vegetazione, ma anche sugli stessi uomini cone divinità nutrici, sicché in alcune leggende, come in quelle di Ermete e di Dioniso appaiono come nutrici degli dèi bambini. Era quindi naturale che fossero considerate protettrici della crescita degli adolescenti, e in particolare delle giovinette, le quali spesso alla vigilia delle nozze si immergevano nelle acque di talune sorgenti per conseguire la fecondità, e le donne offrivano loro sacrifizi all'avvicinarsi del momento del parto. A tutte le Ninfe si attribuivano anche doni profetici; il dono di guarire era privilegio esclusivo delle Ninfe delle acque.
Il culto delle Ninfe era antichissimo e diffuso in tutto il mondo greco; tuttavia si incontrano quasi sempre come divinità locali. Spesso le Ninfe erano associate nel culto ad altre divinità maggiori, come Apollo, Dioniso, Ermete, Pan, più raramente Artemide e Demetra. Si offrivano loro animali domestici, tori, agnelli, capretti e frutta, miele, rose; dal culto era escludo il vino, ma non mancavano eccezioni.
A Roma il numero di divinità simili alle Ninfe fu alquanto più ristretto; limitandosi prevalentemente ai numi delle acque e specialmente delle sorgenti termali, i Romani assimilarono alle Ninfe greche le divinità indigene delle fonti. Le fonti col loro dio Fontus avevano in Roma culto da età assai antica, di cui è prova la festa delle Fontinalia, riportata al 13 ottobre già nell'antico calendario di Numa POmpilio. Nei Fasti dei Fratelli Arvali si ha menzione del loro tempio, incendiato da Clodio, nel Campo Marzio, nel quale erano conservate le tavole censorie. Solo relativamente tardi ebbero tempietti e ninfei, edifizi graziosi dove si celebravano le nozze. La designazione di Ninfe applicata da alcuni alle Furrine, divinità indigene romane di natura non ben chiarita, pare arbitraria e da respingere.
Nelle arti figurative le Ninfe furono rappresentate, in conformità con la concezione greca, come bellissime e snelle giovinette, dalle movenze graziose, dalla testa leggiadra ornata di fiori, dalle vesti leggere e svolazzanti, raramente nude.