MITOLOGIA GRECA E ROMANA
Mitologia, lettera P
Palamede, Pale, Palemone.
PALAMEDE: figlio di Nauplio e di Climene, fratello di Eace e Nausimedonte. Figura fra gli allievi di Chirone, accanto ad Achille, Aiace ed Eracle. Partecipò alla guerra di Troia e pagò con la vita l'avere smascherato l'inganno di Odisseo.
Quando Menelao ebbe notizia del rapimento di Elena, andò da suo fratello Agamennone a Micene, e gli chiese di raccogliere un esercito per marciare contro Troia. Agamennone mandò dei messaggeri a Troia per chiedere la restituzione di Elena, ma Priamo rispose che non sapeva nulla di quella faccenda. Paride infatti stava ancora navigando nel sud. Menelao allora inviò messaggeri a tutti i principi che avevano pronunciato il solenne giuramento, ricordando a ciascuno di loro che l'azione di Paride era un affronto per l'intera Grecia. A meno che il crimine non fosse punito in modo esemplare, nessuno avrebbe potuto essere sicuro dell'incolumità della propria sposa. In seguito, accompagnato da Menelao e da Palamede, Agamennone si recò ad Itaca, da Odisseo. Ma Odisseo non aveva nessuna intenzione di partecipare alla guerra, e si finse pazzo. I tre inviati lo trovarono, con un cappello di contadino in testa, che arava un campo pungolando un bue e un asino aggiogati assieme e gettandosi dietro le spalle manciate di sale. Palamede capì che Odisseo li stava ingannando e decise di smascherarlo: all'improvviso strappò il piccolo Telemaco dalle braccia della madre Penelope e lo posò per terra dinanzi alle zampe degli animali aggiogati all'aratro. Odisseo subito tirò le redini per non uccidere il suo unico figlio e, dimostrando così d'essere sano di mente, fu costretto a partecipare alla guerra. L'esercito ellenico era comandato da Agamennone e dai suoi luogotenenti Odisseo, Palamede e Diomede; la flotta ellenica era comandata da Achille, con l'aiuto del Grande Aiace, figlio di Telamone, e di Fenice.
Durante il nono anno di guerra, Agamennone mandò Odisseo in Tracia in cerca di granaglie e quando ritornò a mani vuote, Palamede gli rimproverò trascuratezza e codardia. Odisseo replicò che non era colpa sua e che se Palamede fosse andato in vece sua non avrebbe avuto miglior fortuna. Accolta la sfida implicita in quelle parole, Palamede salpò immediatamente e ritornò con una nave carica di provviste. Dopo alcuni giorni di tortuose meditazioni, Odisseo architettò un piano per vendicarsi di Palamede, poiché il suo amor proprio era stato profondamente ferito. Secondo alcuni autori Odisseo prese un prigioniero frigio, e lo costrinse a scrivere una falsa lettera, come se fosse inviata da Priamo a Palamede, con degli accordi di tradimento; poi, dopo aver nascosto dell'oro nella tenda di Palamede, lasciò cadere quella lettera in mezzo all'accampamento. Agamennone la lesse, trovò l'oro, e consegnò Palamede ai Greci perché venisse lapidato come traditore. Altri dicono che Odisseo e Diomede, fingendo di aver trovato un tesoro in un pozzo profondo, vi calarono Palamede appeso ad una corda e poi gli spaccarono il cranio con grosse pietre; oppure lo annegarono durante una partita di pesca. Vi sono poi opinioni discordi circa la località dove egli morì: se a Colone troiana o a Geresto o a Tenedo. Ma un santuario eroico in suo onore è stato eretto presso Metimna in Lesbo.
Palamede si era meritata la gratitudine dei suoi compagni inventando i dadi, che si rivelarono utilissimi per combattere la noia durante il lungo assedio. Tutti poi invidiavano la grande intelligenza di Palamede: egli aveva infatti inventato i fari, la bilancia, le misure, il disco, alcune lettere dell'alfabeto, la moneta e l'arte di appostare le sentinelle di guardia.
Quando Nauplio ebbe la notizia dell'assassinio di suo figlio, salpò per Troia e chiese soddisfazione; ma non ottenne nulla da Agamennone. Così Nauplio ritornò in Grecia col figlio superstite Eace e diffuse false voci tra le mogli degli assassini di Palamede, incitandole all'adulterio.
PALE: dea campestre venerata dai Romani. Sembra che il suo nome derivi da parere (generare). Le era sacro il 21 aprile nel quale si celebrava la sua festa, chiamata Palilia (o Parilia): in tale data sarebbe avvenuta pure la fondazione di Roma da parte di Romolo. In quella ricorrenza i pastori e il bestiame si purificavano saltando tre volte su fuochi di paglia e di sterpi, veniva chiesto perdono per le profanazioni recate involontariamente ai boschi e alle fonti e si pregava per la prosperità delle greggi; Ovidio fa una compiuta descrizione delle palilie nei Fasti (IV, 721 e sgg.).
A Pale erano dovuti sacrifici incruenti di latte e di focacce.