MITOLOGIA GRECA E ROMANA
Mitologia, lettera M
Marte, Mater Matuta.
MARTE: antica divinità italica. Egli è con Giove la divinità più schiettamente italica, al cui nome sono legati i miti e le leggende più care della tradizione romana. Marte è il dio della vegetazione primaverile, a cui è sacro il primo mese dell'anno secondo l'antico calendario romano (marzo), a lui erano votati i giovani della primavera sacra (ver sacrum), che in una data primavera si allontanavano per sempre dalla patria e andavano a fondare una nuova colonia, per esempio, gli Irpini, i Picenti, i Marsi, guidati sempre da un animale sacro al dio: il picchio, il lupo, il toro. I fratelli Arvali (un antico collegio di dodici sacerdoti), durante le Ambarvalia, eseguivano un antico canto in cui veniva invocata la sua protezione sulle genti e sui campi. Ogni anno il 14 di marzo si compiva nel Campo di Marte la cerimonia della cacciata, a colpi di bastone, di un vecchio, Mamurio Veturio (Marte vecchio), che, come tanti altri riti simili, vuole significare la fine dell'anno vecchio.
Marte tuttavia, come protegge i campi dalla lue insidiatrice del raccolto, così deve guardarli dalle devastazioni del nemico in tempo di guerra: e qui sta il punto di passaggio dal Marte naturistico a quello guerriero. E poiché la guerra fu per i Romani una necessità imprescindibile per conquistarsi una salda posizione politica, si capisce come il secondo aspetto di Marte abbia finito con oscurare l'antico. All'inizio di ogni spedizione il duce entrava nel tempio e dinanzi ai sacri scudi (ancili) e alla lancia lo avvertiva di vigilare: "Mars, vigila!". All'aprirsi e al chiudersi del periodo utile per le operazioni militari (marzo e ottobre) si facevano in suo onore varie feste destinate alla consacrazione e purificazione di vari oggetti guerreschi: cavalli (Equiria, 27 febbraio e 14 marzo); trombe (Tubilustrium, 23 marzo e 23 maggio); armi (Armilustrium, 19 ottobre). L'identificazione con Ares è tarda, quando la cultura greca incominciò a penetrare in Roma.
Secondo i Romani, Giunone diede alla luce Marte che, secondo una tradizione riferita da Ovidio, era stato concepito senza il soccorso di Giove, ma grazie a un fiore magico che Flora le aveva procurato. I Greci invece attribuiscono la paternità di Ares a Zeus. Marte era sposato a una dea minore a nome Nerio (parola che significa "forza"). Il suo culto romano aveva un'immensa importanza per lo Stato, si riteneva che egli fosse il padre di Romolo, nato dalla vestale Rea Silvia. Aveva visitato Rea Silvia, si diceva, mentre dormiva e insieme avevano concepito due gemelli, Romolo e Remo. Lo zio Amulio cercò di ucciderli gettandoli nel Tevere, ma una lupa li salvò, e quando divenne adulto Romolo fondò la città di Roma. La lupa e il picchio, che avevano contribuito a salvare i due bambini, erano sacri a Marte.
Vi sono altre due vicende del mito: una narra del sacro Ancile, lo scudo bronzeo che sarebbe caduto dal cielo ai tempi del regno di Numa Pompilio. Poiché il destino di Roma, secondo questa leggenda, anzi il destino di tutto l'impero, era legato a quello scudo, Numa ne fece costruire altri undici, e confuse quello originale tra di essi, e poi li nascose nel tempio di Marte. Il collegio dei Salii era preposto particolarmente alla custodia dei dodici ancili. Nell'altra leggenda, Marte si innamorò di Minerva e chiese all'anziana dea Anna Perenna di fargli da pronuba; Anna disse a Marte che Minerva voleva sposarlo e quando il dio andò a prendere la sua sposa alzò il velo e vide che al posto della dea Minerva c'era la vecchia Anna Perenna. Gli altri dèi si divertirono allo scherzo.
Marte diede il nome al territorio sulla sinistra del Tevere destinato agli esercizi militari e ginnici e chiamato appunto Campo di Marte. Ai tempi di Augusto gli venne dato il nome di Ultor ("vendicatore") in memoria della parte sostenuta dall'imperatore nella vittoria sugli assassini di Giulio Cesare.
MATER MATUTA: antichissima divinità latino-italica che aveva culto in Roma e in tutta l'Italia centrale, a Satrico, a Cora, a Preneste, a Pesaro. In origine fu una divinità della luce mattutina, una dea dell'aurora. Da alcune testimonianze epigrafiche si può desumere che accanto a Mater Matuta vi fosse stato originariamente un Pater Matutinus, identificato poi con Giano. Dal significato primitivo era facile il passaggio a quello di divinità protettrice dei Parti (una specie di sdoppiamento di Giunone Lucina), perché i Romani vedevano un parallelismo tra la nascita degli uomini e il sorgere della luce dalle tenebre.
Il tempio più famoso di Mater Matuta era quello della volsca Satrico. A Roma aveva un solo tempio che la tradizione attribuiva a Servio Tullio, rinnovato da Marco Furio Camillo nel 395 avanti Cristo. Il tempio sorgeva sul Forum Boarium entro la porta Carmentale. Il culto di Mater Matuta in Roma doveva essere molto antico, perché la sua festa delle Matralia era notata nell'antico calendario numano e perché vigevano in queste feste usi arcaici. Fra l'altro le matrone nelle loro preghiere a Mater Matuta nominavano i figli dei fratelli e delle sorelle prima dei figli propri, e ciò può venire spiegato come un residuo del matriarcato di qualche antichissima tribù preitalica. Le Matralia erano celebrate l'11 giugno e adesse intervenivano soltanto vergini o donne univire, cioè non risposate. Dal culto erano escluse le schiave, e questa esclusione si rinnovava ogni anno, introducendo nelle cerimonie una schiava che veniva scacciata a frustate dal tempio. Le matrone facevano alla dea l'offerta rituale che consisteva in focacce cotte sul focolare in vasi di terra.