MITOLOGIA GRECA E ROMANA


Mitologia, lettera D

Diana, Didone.

DIANA: Divinità italica fatta equivalente della greca Artemide, ma della quale nella sua natura originaria era del tutto indipendente.
Era venerata non solo nel Lazio, ma anche in molte regioni dell'Italia centrale e meridionale, tra gli Equi, i Sabini, gli Ernici. Il suo culto era celebrato in origine sui colli Albani, e localizzato in particolare nel territorio di Aricia sulle sponde del lago di Nemi in un luogo detto Speculum Dianae, dove le era dedicato un bosco, onde il nome di Diana Nemorensis, "la Diana dei Boschi". Sacerdote ne era il rex Nemorensis, il "Re dei Boschi", uno schiavo, che secondo la leggenda prendeva possesso del suo regno uccidendo, in certe circostanze, il suo predecessore. Questo santuario fu il centro di un culto praticato dalle città della lega latina, il che prova la sua remota antichità; di qui esso si diffuse, giungendo a Tuscolo e a Roma, dove fu particolarmente celebrato sul monte Aventino per iniziativa di Servio Tullio con feste che avevano luogo ogni anno alle Idi di agosto. Il tempio dell'Aventino divenne in seguito il santuario di tutto il Lazio. Altro santuario dedicato a Diana era quello di Capua, che portava il nome di Diana Tifatina. A Capua, esisteva la leggenda d'una cerbiatta consacrata a Diana, animale di una meravigliosa longevità, e la cui sorte era legata alla conservazione della città.
La dea aveva fra i suoi attributi la protezione dei boschi e delle selve, ed era direttamente collegata col mondo naturale-vegetale, e anche con quanto vive nei boschi e nelle selve; così Diana divenne protettrice anche degli animali, fra i quali le erano particolarmente sacri il cane e la cerva. Divinità protettrice della fertilità della natura, venne venerata dalle donne come dea della fecondità e dei parti col nome di Lucina. Più tardi fu pure identificata con la Luna. Alle Idi di agosto anche i servi e perfino gli schiavi fuggitivi partecipavano alla festa in onore di Diana e anche del re Servio, loro patrono, il quale si narrava avesse fatto dono al tempio di una statua della dea, copia dell'Artemide efesia. Questi particolari provano che Diana era pure considerata quale protettrice della plebe e che il suo culto aveva un carattere spiccatamente democratico e popolare.
Quando si compì l'identificazione di Diana con l'Artemide greca, furono attribuite alla dea italica tutte le proprietà di questa e furono assimilati i due culti. Di solito era rappresentata con il cane e la cerva: venerata sotto l'aspetto di divinità cacciatrice, ebbe per suoi ornamenti l'arco, la faretra, la fiaccola. L'identificazione con la dea greca provocò una più stretta parentela con Apollo. Nel tempio di Apollo Palatino era invocata sotto il nome di Diana Victrix; con lui ebbe parte nei ludi saeculares: nel Carmen saeculare di Orazio la Diana dell'Aventino è invocata subito dopo l'Apollo del Palatino.
Collegata con Diana era un'altra divinità, Egeria, fatta sposa di Numa Pompilio, dopo la cui morte fu convertita in fonte da Diana.

DIDONE: Elissa, figlia del re di Tiro Mutto, sposò lo zio Sicheo (o Sicarba), ricchissimo sacerdote di Eracle. Ma il fratello di lei, Pigmalione, divenuto re di Tiro, le uccise il marito per impadronirsi delle sue ricchezze; Elissa, con la sorella Anna e con pochi compagni, fuggì per mare giungendo dopo lunghe peregrinazioni in Libia, dove venne chiamata dagli idigeni Didone. Qui ottenne dal re Iarba per sé e per i suoi compagni tanto terreno quanto ne poteva comprendere una pelle di bue: Didone tagliò la pelle in sottilissime strisce e recinse con essa un ampio spazio su cui fondò una città che chiamò Cartagine. Chiesta in sposa da Iarba, che minacciò di distruggere la città se avesse rifiutato, piuttosto che tradire la memoria di Sicheo, Didone si uccise gettandosi su un rogo.
Sulla leggenda greca si inserisce l'ampia elaborazione letteraria romana, che si ritrova già in Nevio: Didone è posta in rapporto con Enea, che durante il suo viaggio verso l'Italia sarebbe sbarcato a Cartagine dove si sarebbe innamorato di Didone essendone ricambiato; secondo un'altra tradizione raccolta da Servio, Enea avrebbe invece amato la sorella di Didone, Anna. Da Nevio Virgilio deriva i tratti essenziali per l'episodio famoso dell'Eneide.
Enea, in seguito a una tempesta che disperse la sua flotta, venne gettato sulle coste dell'Africa, presso Cartagine; qui si rifugiò, in attesa di riparare le navi e di riprendere la navigazione. A Cartagine fu accolto da Didone di cui divenne ospite insieme con i compagni; durante un banchetto nella reggia, Venere, perché la regina fosse più benigna verso il figlio, inviò Amore che sotto le sembianze di Julo ispirò a Didone un amore appassionato per Enea; l'eroe, invitato dalla regina, narrò la distruzione di Troia e le sue avventure: Didone tentò invano di resistere al sentimento che sentiva sorgere in lei, per conservarsi fedele alla memoria di Sicheo, finché consigliata anche dalla sorella Anna, che pensò fosse necessaria la presenza di Enea per difendere la città contro i molti nemici esterni, Didone cedette alla passione.
Durante una caccia interrotta da una violenta tempesta, inviata da Giunone che sperava di trattenere con l'amore l'eroe lontano dall'Italia, in una grotta dove Didone ed Enea si erano rifugiati avvenne l'amplesso. Enea sarebbe stato deciso a fermarsi a Cartagine, se Giove non gli avesse inviato Mercurio a ordinargli di partire affinché si compissero i fati che lo volevano nel Lazio; l'eroe non osò annunciare la sua partenza a Didone e cercò di allontanarsi in segreto; ma la regina si accorse dei preparativi, pregò, minacciò, implorò Enea perché restasse, ma invano. La flotta di Enea si allontanò e Didone, disperata, dopo avere predetto odio eterno fra Cartagine e la città che Enea andava a fondare in Italia, salì sul rogo che si era fatto preparare e si trafisse con la spada donatale da Enea.