MITOLOGIA GRECA E ROMANA


Mitologia, lettera N

Naiadi, Narciso.

NAIADI: ninfe delle acque dolci, furono immaginate dagli antichi come fanciulle di fiorente bellezza, signore dei fiumi e dei ruscelli (Potameidi), delle fonti (Creniadi), delle paludi e dei laghi (Lèmnadi). Talvolta ve ne è soltanto una, la quale è la ninfa della fonte, talvolta la stessa sorgente ne ha diverse, considerate come sorelle, uguali fra loro. Dotate di grande longevità, ma mortali, erano note per la loro benevolenza verso il mondo umano, e in virtù delle forze vitali dell'acqua erano onorate come le nutrici delle piante, degli animali e degli uomini. Per questa ragione si consideravano come nutrici di Dioniso e di Demetra. Danzano in lieti cori in compagnia di Satiri e di Sileni, coltivando la musica, la poesia e l'arte della divinazione.
La loro genealogia è variabile sia secondo i mitografi sia secondo le leggende. Spesso sono figlie di Zeus o discendenti di Oceano o figlie del dio del fiume in cui abitano: così, le figlie dell'Asopo sono Naiadi. Tutte le fonti celebri hanno la loro Naiade, la quale ha un nome e una leggenda particolare. Così la ninfa Aretusa, a proposito della quale si raccontava che era compagna fedele d'Artemide e, come la sua protettrice, sdegnosa dell'amore. Un giorno, per rinfrescarsi dopo una battuta di caccia, si bagnò nel fiume Alfèo il quale innamoratosi della ninfa prese forma umana e la inseguì. Spaventata, Aretusa supplicò Artemide di salvarla. La dea, dopo aver trasformato Aretusa in una fonte, la sprofondò sottoterra facendola riaffiorare a Siracusa, nell'isola di Ortigia. Alfèo, per nulla scoraggiato, riassunse la forma acquatica e poté così unirsi alla ninfa. Nella spedizione degli Argonauti, durante uno scalo in Misia, Ila, il giovane amato da Eracle, si era recato ad attingere acqua presso la vicina fonte Pegea. Qui le Naiadi, attirate dalla sua bellezza, lo indussero a seguirle e lo tennero presso di sé in una grotta sott'acqua.
Le Naiadi passavano spesso per avere facoltà guaritrici: i malati bevevano l'acqua delle fonti a loro consacrate, oppure, più raramente, vi si bagnavano. Talvolta, il bagno era considerato un sacrilegio e chiunque vi si arrischiava incorreva nella collera e nella vendetta delle dee che si manifestavano attraverso qualche malattia misteriosa. Nella mitologia popolare latina si sosteneva che chiunque scontentava o vedeva le Naiadi (Lymphae) era colpito da pazzia o smarrimento. Da ciò l'espressione latina lymphaticus, che significa "pazzo".
Nei testi antichi, le Naiadi spesso erano usate per dare lustro alle famiglie più importanti. Molte genealogie presentano all'origine una Naiade. Per esempio, la moglie di Erittonio, Prassitea che generò Pandione; la moglie di Endimione, madre di Etolo; quella d'Icario, Peribea che generò Penelope; quella d'Ebalo.
Le Naiadi vengono rappresentate nelle opere artistiche nude, splendide di giovinezza, coronate di canne, versanti acqua da un'urna con in mano una conchiglia o un corno da cui sgorga l'acqua.

NARCISO: mitico giovinetto di straordinaria bellezza, nativo di Tespi in Beozia, figlio del dio-fiume Cefiso e della ninfa Liriope.
Un giorno il dio del fiume Cefiso aveva avvolto nelle liquide spire delle sue acque e violata la ninfa Liriope che gli generò un figlio, Narciso. Il veggente Tiresia disse a Liriope: "Narciso vivrà fino a tarda età, purché non conosca mai se stesso". Già a sedici anni, Narciso si era lasciato alle spalle una schiera di amanti respinti d'ambo i sessi, poiché era caparbiamente geloso della propria bellezza. Fu amato da tutte le Ninfe, e più di tutte dalla ninfa Eco, che però non poteva più servirsi della propria voce se non per ripetere stupidamente le ultime parole gridate da qualcun altro: così fu punita per aver distratto Era con continue chiacchiere mentre le concubine di Zeus, le Ninfe della montagna, sfuggivano ai suoi occhi e si mettevano in salvo. Narciso non accettò l'amore di Eco e la respinse in modo brusco. La povera ninfa trascorse allora il resto della sua vita in valli solitarie, gemendo d'amore e di rimpianto, finché di lei rimase soltanto la voce. Narciso era amato anche da un giovane chiamato Aminio, ma non lo contraccambiava. Lo respingeva continuamente, e finì persino con inviargli in regalo una spada, con la quale Aminio si uccise sulla soglia della casa di Narciso, invocando gli dèi perché vendicassero la sua morte.
La crudeltà di Narciso attrasse l'indignazione degli dèi che lo vollero punire: un giorno, specchiandosi nelle acque di una fonte, Narciso s'innamorò tanto della propria bellezza che, non potendo afferrare nella limpida onda la propria immagine, ne morì di passione e di desiderio. Le Naiadi e le Driadi, secondo Ovidio, gli prepararono un rogo, ma quando vollero prendere il corpo di lui non trovarono che il fiore che oggi porta il suo nome. La sua passione lo accompagnò perfino nel Tartaro, dove egli si sta continuamente specchiando nelle acque dello Stige.
Un'altra versione del mito, narrata da Pausania, racconta che Narciso aveva una sorella gemella di cui s'innamorò. La ragazza morì giovane e Narciso, per trovare sollievo al suo dolore, si recava in una sorgente a specchiarsi per ritrovare nei suoi tratti il viso dell'amata sorella, immaginando così di averla davanti ai suoi occhi.